Mi capita molto spesso di parlare con produttori di vino e, inevitabilmente,
l'argomento delle vendite è uno di quelli che, negli ultimi tempi, riceve
particolare attenzione e preoccupazione. Per chi produce vino, si tratta di una
comprensibile e ovvia preoccupazione. Devo dire, per onore di verità, che negli
ultimi mesi molti dei produttori con i quali parlo si esprimono in toni meno
catastrofici rispetto agli anni passati, rilevando dei timidissimi cenni di
ripresa. Un piccolo raggio di sole, dopo avere subito le gravi conseguenze di
una severa tempesta con insistenti temporali, non può che suscitare ottimismo,
benché cauto e minimo. I tempi che hanno caratterizzato gli anni passati, e che
- inutile nasconderlo - continuano a influire l'economia del presente, hanno
gravato pesantemente sui bilanci e profitti delle cantine, pertanto - anche di
fronte a questo raggio di sole - la cautela è una saggia difesa.
Secondo una recente indagine condotta dalla Coldiretti, gli anni che abbiamo
lasciato alle spalle - nello specifico, dal 2008 al 2014 - hanno segnato un
periodo decisamente negativo per il consumo di vino. Non si tratta di una
notizia eclatante: che l'economia del vino non godesse di buona salute negli
anni appena passati, era ben risaputo e del tutto percettibile. L'indagine
della Coldiretti diviene importante poiché quantifica la misura di questo
andamento incerto, di quanto il vino italiano ha perso negli ultimi tempi. Il
mio sospetto è che non tutto sia dovuto ai tempi di crisi economica che stanno
caratterizzando questi anni, ma di certo hanno contribuito in modo
significativo. In fin dei conti, il vino è da tempo considerato un bene
elitario, pertanto non rappresenta una necessità primaria. Dovendo fare delle
scelte, nei momenti di minore disponibilità economica, è ovvio che si rinuncia
- seppure con dispiacere - a quello che non rientra nelle priorità fondamentali.
L'indagine della Coldiretti ci fa sapere che, in questi anni di crisi, quasi
1,7 milioni di italiani hanno smesso di consumare bevande alcoliche.
Sicuramente la crisi ha svolto un ruolo determinante, tuttavia ritengo che
anche le norme in merito al tasso alcolemico del sangue per i soggetti che si
mettono alla guida di un veicolo - recentemente introdotte - abbiano fortemente
influito su questi comportamenti. L'indagine ha fatto emergere, in particolare,
che in Toscana i consumi di vino sono diminuiti dell'11,8%, registrando
addirittura un calo del 13% fra i consumatori abituali della bevanda di Bacco.
La Toscana, regione fra le più significative del panorama enologico italiano,
registra uno strepitoso incremento del 32% nel consumo quotidiano di birra. Un
risultato che conferma, evidentemente, il buon momento che la bevanda di Cerere
sta vivendo in Italia, grazie anche ai lodevoli risultati conseguiti dai tanti
birrifici artigianali del nostro Paese.
Qualora il calo del consumo di vino fosse motivo di preoccupazione, in realtà
l'indagine della Coldiretti offre - purtroppo - ben altri motivi per i quali
preoccuparsi seriamente. Il 14,5% dei giovani di età compresa fra i 18 e i 24
anni è dedita al deplorevole comportamento del binge drinking,
praticato con lo smodato consumo di aperitivi, amari e superalcolici. Qualora
fosse necessario ricordarlo, il binge drinking - che si potrebbe
tradurre in italiano come bere pesantemente - consiste nel consumo di
bevande alcoliche con lo scopo di ubriacarsi e perdere il controllo. Un
comportamento che è l'antitesi dell'intelligenza, certamente preoccupante -
molto preoccupante - e che dovrebbe fare riflettere, in particolare, sulla
condizione sociale di certi scellerati giovani. Soddisfazione certamente
trascurabile sapere che il vino - almeno in questo - non è responsabile di
questa scellerata e sciagurata abitudine.
Nel periodo 2009-2014, sempre secondo l'indagine condotta dalla Coldiretti, in
Italia si è registrato un calo nei consumi di vino del 2,9%, il consumo di
superalcolici e liquori è diminuito dell'1,3%, mentre la birra è aumentata
dello 0,1%. Anche il consumo quotidiano del vino nelle tavole degli italiani è
diminuito: dalla media di cinque bicchieri si passa a quattro. Una tendenza
confermata dalla diminuzione del consumo e dall'acquisto di vino nelle
famiglie che registra - su scala nazionale - un calo del 19% rispetto al 2008.
L'unico dato in controtendenza, come già detto, è il consumo - ma sarebbe bene
parlare di abuso - di superalcolici da parte dei giovani, in particolare nel
fine settimana. Si registra, inoltre, una concentrazione dei consumi di vino e
alcolici al di fuori dei pasti. A quanto pare, gli italiani stanno abbandonando
la tradizionale abitudine di associare il vino al cibo, da sempre elemento
centrale della tipica convivialità gastronomica.
In Italia si sta diffondendo quindi l'abitudine del bere casuale, compagno di
momenti sociali informali e frugali, ancor peggio e preoccupante, la
detestabile e certamente idiota tendenza del binge drinking fra i
giovani. Sarebbe opportuno interrogarsi sui motivi per i quali stiano emergendo
queste abitudini. Di certo l'insistente comunicazione di un modello
comportamentale ribelle ed egoista - concedetemi di aggiungere,
palesemente idiota e insulso - è da ritenersi fra i motivi responsabili
di questi insignificanti modelli sociali. Un tempo si diceva la sera
leoni, la mattina - qui mi permetto una dignitosa modifica, rinunciando alla
fondamentale rima - irrimediabilmente stupidi. Se il calo dei consumi
corrisponde a questo tipo di nuove mode, proseguo con i proverbi di un
tempo: si stava meglio, quando si stava peggio. Se è vero che la società
moderna altro non è che la conseguenza di ciò che è stato tramandato dalle
generazioni precedenti, interroghiamoci - con non poco sgomento - sul tipo di
educazione che abbiamo insegnato e all'eredità che lasceremo.
Antonello Biancalana
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