Come cambiano i tempi e come continuano a cambiare. Una considerazione
certamente frivola visto che il tempo, da sempre, fa il suo lavoro: passa,
procede, va avanti e nel suo incessabile cammino, cambia le cose. Non è
comunque il tempo a cambiare le cose, piuttosto gli uomini che adattano e
cambiano la propria condizione, cultura, gusto e abitudini in funzione del
procedere del tempo. Ma anche in funzione delle mode, delle idee, del sentito
dire, del sono migliori perché me l'hanno detto e perfino del si fa
perché è così. Il vino, evidentemente, non si sottrae ai capricci che gli
uomini manifestano nel tempo, non solo per un semplice fatto di
evoluzione del gusto ma anche, e soprattutto, per le mode del momento.
Basta molto poco, infatti, per trasformare una voce in moda. Serve un
esperto - spesso presunto tale, possibilmente con qualche interesse di parte,
tanta supponenza e discutibile competenza - qualcuno disposto ad ascoltare e a
fare da servile ma convincente megafono.
Il tempo porta anche ottuse crociate, combattute con il solo principio di
affermare una supposta superiorità o l'interesse di qualcuno o qualcosa -
rigorosamente con gli occhi ben chiusi - dimenticando sempre, purtroppo, che il
migliore non esiste. Questo vale anche per le uve e per il vino, non solo per
gli uomini e le loro idee. Come per le varietà considerate
internazionali o alloctone, la maggioranza delle quali di
origine francese, un tempo ritenute emblema di assoluta qualità enologica, oggi
spesso guardate con sufficienza se non disprezzo. Una crociata combattuta in
favore delle cosiddette varietà autoctone o indigene, sostenendo,
inoltre, una supposta superiorità per il semplice motivo che sono le
nostre uve quindi migliori. Mi preme chiarire che le uve del nostro Paese sono
davvero straordinarie e magnifiche, ma di certo non le uniche a esserlo. La
ricchezza del vitigno Italia non ha uguali nel mondo, però il mondo esiste e mi
piace guardarlo, ascoltarlo, valutarlo e apprezzarlo.
In un tempo non troppo lontano, evocare Merlot e Chardonnay, significava fare
riferimento, in modo pressoché implicito, a un vino di notevole valore
enologico. Forse si è esagerato con queste uve, visto che ancora oggi sono
presenti in molti vini, anche in Italia, spesso unite a varietà locali. Il
fatto è comunque singolare perché, se è vero che le cosiddette varietà
internazionali - in particolare Merlot e Chardonnay - sono oggi viste come uve,
per così dire, da evitare, fa sorridere se si pensa alla Francia. In questo
paese, infatti, non solo Merlot e Chardonnay sono ampiamente usate e apprezzate
ovunque, ma è anche difficile considerarle varietà internazionali
poiché, in questo paese, sono indiscutibilmente uve autoctone. Sarà poi
anche vero che il numero di varietà esistenti in Francia è decisamente
inferiore rispetto all'Italia, ma di certo i francesi non si lamentano delle
loro uve autoctone-internazionali.
Di tutte le uve oggi ritenute internazionali, le critiche più feroci sono
rivolte a Chardonnay e Merlot, in particolare per la loro riconoscibilità e il
carattere morbido e rotondo che conferiscono ai loro vini. Sarebbe come
accusare Barbera e Nebbiolo, per aspetti opposti, a causa della fresca acidità
che conferiscono ai loro vini. Visto poi che sia il Nebbiolo sia la Barbera
sono usati insieme al Merlot, in quel caso ci sarebbe da capire se la critica è
sollevata per la morbidezza dell'uva francese o per la freschezza delle uve
piemontesi. Forse queste due uve internazionali - Merlot e Chardonnay - pagano
il prezzo per essere state utilizzate a lungo, anche abusate, in vini prodotti
con l'esplicito obiettivo di esaltare morbidezza e rotondità. Qualunque
enologo, o chiunque abbia un minimo di competenza nella produzione di vini, sa
benissimo che queste due qualità organolettiche si possono ottenere con ogni
uva e semplicemente ricorrendo a magie di cantina.
Queste magie non riguardano solamente l'impiego della botte o della barrique,
quest'ultima oggi vista con diffidenza, proprio come Merlot e Chardonnay. Ben
si sa che, volendo, anche un vino prodotto con la Barbera - nota per la sua
spiccata e piacevole acidità - può essere facilmente trasformata in un vino
morbidissimo e rotondo. Non si tratta unicamente di additivi capaci di
stravolgere il carattere di un'uva o di un vino, ma anche di condizioni
climatiche, tecnologiche e viticolturali. La fresca Barbera, volendo, può
diventare morbida e rotonda quanto il detestabile Merlot. Inutile dire che
apprezzo molto la Barbera e che il mio non è un attacco ai suoi vini o ai suoi
produttori. Prendo questa nobile varietà piemontese proprio perché opposta al
Merlot ma che, volendo, può assomigliargli molto. I pregiudizi sono sempre
deplorevoli, soprattutto per il fatto che influiscono sulle nostre idee e sulla
nostra capacità di comprendere le cose per quello che realmente sono.
Personalmente ho avuto il piacere, e aggiungo, il privilegio, di assaggiare e
meravigliarmi della grandezza di certi Merlot e Chardonnay, non solo francesi.
Di certo non mi ha disturbato il pensiero che quei vini regalassero una
dominante sensazione di morbidezza e rotondità, piuttosto mi sono stupito per
la grandezza enologica di quello che avevo nel calice. In fin dei conti, non si
può pretendere che un leone assomigli o si comporti come un topo e viceversa.
Allo stesso modo non si può accusare il Merlot e lo Chardonnay di essere quello
che sono, soprattutto per il fatto che hanno dimostrato, con i fatti concreti,
che da queste uve si possono produrre grandissimi vini. Lo stesso vale,
evidentemente, per qualunque altra uva, autoctone comprese. Non mi pongo mai di
fronte al vino in modo pregiudiziale, soprattutto per il fatto che sarebbe un
errore gravissimo per la sua comprensione. Merlot, Chardonnay, Sangiovese o
Trebbiano Toscano non ha importanza: a me interessa che sia buono e che sia
fatto bene. Perché tollero molto meno i difetti esaltati come pregi, piuttosto
che i pregiudizi sulle uve. Internazionali comprese.
Antonello Biancalana
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