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Non Chiamatelo VinoNon Chiamatelo Vino  Sommario 
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Non Chiamatelo Vino


 Non sembra esserci un attimo di tregua e pace per il vino. A quanto pare, non bastava il periodo complicato che stiamo tutti vivendo – soprattutto le attività produttive, comprese quelle che si occupano di vino – tanto che i legislatori stanno cercando di modificare, non da meno, stravolgere, il concetto e la definizione originale del vino. I legislatori dell'Unione Europea, infatti, pare siano particolarmente interessati al comparto produttivo del vino, nello specifico, agli effetti che questo ha, o potrebbe avere, nella salute. È notizia di questi giorni – e che ha creato non poche reazioni da parte dei produttori e dei consumatori – relativamente alla proposta di consentire la pratica della dealcolizzazione del vino, cioè, di ridurre il suo volume alcolico. La pratica di dealcolizzare il vino – cioè di eliminare parte dell'alcol prodotto per effetto della fermentazione – è già consentita in altri paesi del mondo e il risultato è già presente da anni in quei mercati e, a quanto pare, con un discreto riscontro da parte dei consumatori.


 

 La diffusione di questa notizia – nemmeno a dirlo – ha provocato un'ondata oceanica di parole, tutti a mostrare indignazione per il presunto arrivo di vino annacquato. Premettendo che la possibilità di consentire la produzione di vino dealcolizzato non è qualcosa che personalmente mi entusiasmi, la cosa che invece mi sconcerta è appunto la reazione che questa notizia ha provocato, sottolineando – quanto meno – la scarsa competenza con la quale si è “alzato il polverone”. Va detto, infatti, che la dealcolizzazione non si esegue mediante l'aggiunta di acqua – di fatto, l'acqua non si usa affatto in questo processo – piuttosto si ottiene prevalentemente per osmosi inversa o evaporazione mediante la creazione di sottovuoto. Quindi, la diluizione con l'acqua – il tanto evocato e orripilante annacquamento – non ha nulla a che fare con la il processo di dealcolizzazione. Si tratta di tecniche usate da decenni per l'eliminazione dell'alcol dai liquidi, alcune di queste brevettate, addirittura, oltre un secolo fa.

 La dealcolizzazione del vino, comunque, è pratica ammessa in diversi paesi del mondo e per questi – a quanto pare – esiste un mercato importante fatto di consumatori che, per motivi diversi, non intendono assumere alcol. Basti pensare, per esempio, che la pratica della dealcolizzazione è consolidata da anni per la birra ed è diventata, nel tempo, un prodotto accettato anche a livello culturale di massa. In Italia, così come in Francia, la possibilità della produzione di vino dealcolizzato è vista come oltraggiosa per la millenaria tradizione enologica che innegabilmente caratterizza i due paesi. Molti hanno accolto questa notizia con il più profondo sdegno, un attacco diretto, non solo all'immutabile tradizione enologica e, si sa, in Italia quando si “tocca” la tradizione si scatenano le guerre più cruente all'insegna del tutto è immutabile, nulla deve cambiare, nonostante tutto cambi, sia già cambiato e inevitabilmente cambia.

 In molti sostengono, infatti, che l'introduzione nel mercato di questo ipotetico “vino dealcolizzato”, possa rappresentare un danno economico al mercato del vino, quello con l'alcol, quello vero, indiscutibilmente, innegabilmente, immutabilmente e senza dubbio alcuno che ha pieno titolo a chiamarsi “vino”. Io non credo, francamente, che il vino dealcolizzato possa influire sulle vendite del vino propriamente detto. Coloro i quali non consumano vino per il fatto che questo contenga alcol – a prescindere dal motivo per il quale non si voglia o non si possa assumere alcol – già adesso non acquistano o consumano vino. A mio avviso, il vino dealcolizzato – esattamente come la birra “analcolica” – andrebbe a soddisfare un mercato diverso da quello del vino, fatto di consumatori che, in ogni caso, non acquisterebbero vino. Allo stesso modo, i consumatori di vino – quello vero e autentico – non sarebbero altresì interessati al vino dealcolizzato. Sono due prodotti diversi con mercati e consumatori diversi.

 Parlo a titolo personale, ovviamente. Io, senza ombra di dubbio, non sarei interessato al consumo di vino dealcolizzato esattamente come non ho mai acquistato in vita mia birra analcolica. E qualora dovesse essere confermata la possibilità di produrre e commercializzare vino dealcolizzato, sarei, senza dubbio alcuno, fra quelli ai quali questo prodotto non interesserebbe, pertanto, non lo acquisterei. Detto così, sembrerebbe che il mio interesse per il vino dipenda esclusivamente dalla presenza dell'alcol e che – per me – il vino equivale al consumo di alcol. Ovviamente, respingo nettamente questa supposizione poiché non è affatto così e, personalmente, non condivido né commendo l'abuso di alcol, abitudine deplorevole e riprovevole che non mi appartiene e che di certo non contraddistingue chi ama il vino. Chi consuma vino poiché interessato all'assunzione di alcol, non pone evidentemente attenzione alla sua qualità – un vino vale l'altro, basta che ci sia alcol, più ce n'è, meglio è – cosa che non mi riguarda poiché la qualità nel vino è tutto. Questo è quello che definisce primariamente il vino e il suo piacere. E il vino non è solo alcol, ma è anche ed evidentemente alcol.

 Se consideriamo poi l'aspetto sensoriale del vino, l'alcol è un elemento fondamentale e irrinunciabile poiché determinante all'equilibrio gustativo, al gusto e, non meno importante, alla percezione e allo sviluppo dei profumi. Ovviamente, può divenire anche elemento sensoriale negativo quando è presente in quantità elevate, fino a diventare sgradevole se non propriamente equilibrato. Cosa sarebbe il profilo olfattivo del vino senza alcol? Sicuramente molto diverso. Certi profumi non sarebbero più percepiti o comunque attenuati – a causa dell'assenza del vettore volatile dell'alcol etilico – mentre altri diventerebbero più evidenti, proprio a causa dell'attenuazione di altri. Inoltre, dal punto di vista gustativo, l'alcol contribuisce alla morbidezza del vino, elemento determinante per l'equilibrio sia dell'acidità sia dell'astringenza. Con l'eliminazione dell'alcol, quindi, non si creerebbero più questi equilibri – che si dovrebbero eventualmente creare in altro modo – e le espressioni olfattive e gustative sarebbero inevitabilmente diverse. Non è più vino.

 Non sto mettendo in discussione il fatto che una bevanda simile e derivata dal vino non possa essere gradevole: sicuramente incontrerà il favore di certi consumatori. Sicuramente gradevole e di grande successo ma, innegabilmente, non è più vino. Se poi la ragione di questa scelta – come sostengono alcuni – ha l'obiettivo di contrastare l'abuso dell'alcol, chiunque desideri abusare dell'alcol ha infinite alternative rispetto al vino e spesso molto più “efficaci”. Se veramente la dealcolizzazione del vino tende a contrastare la seria e certamente grave abitudine dell'abuso di alcol, mi aspetto, per esempio, provvedimenti analoghi a favore della possibilità di produrre superalcolici dealcolizzati. Se, infine, si vuole favorire la nascita di un nuovo mercato, con un prodotto apprezzato da certi consumatori e che potrebbe aumentare i profitti delle stesse cantine, avendo quindi la possibilità di un nuovo mercato oltre a quello consueto, fatelo pure ma, per favore, non chiamatelo vino perché vino non è.

Antonello Biancalana



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