Una delle domande che più frequentemente mi fanno – da sempre – è relativa alle
mie preferenze in fatto di vino e quale sia il mio preferito, come stile o
un'etichetta in particolare. Da sempre, rispondo puntualmente con quello
buono. In verità, ben consapevole della burlesca superficialità della
mia affermazione, una domanda simile non può avere una risposta precisa e
specifica. Corrisponde comunque a quello che è effettivamente il mio
personale gusto relativo al vino: non credo di potere affermare che, per esempio,
i vini rossi mi piacciono più di quelli bianchi, oppure di prediligere gli
spumanti rispetto ai vini dolci da uve appassite o, infine, i vini liquorosi a
quelli rosati. In definitiva, per quanto banale possa essere, sì, mi piace
il vino buono, per meglio dire, quello che piace a me. Questo significa,
non da meno, che dipende dal momento, dalla persona o dalle persone con le quali
si condivide uno specifico vino, al luogo e all'occasione.
Quando mi capita di trovare nel calice un vino buono – cioè, un vino che mi
piace molto – in genere ne acquisto almeno tre bottiglie. La prima è destinata
all'immediata degustazione organolettica, quindi prendendo appunti e annotando
tutte le sue qualità sensoriali – comprese le mie impressioni e previsioni
sull'evoluzione – sia per mia futura memoria, sia per arricchire il mio
personalissimo database di degustazioni che oramai si appresta a contare
circa 85.000 vini. La futura memoria sarà utile, quando a distanza di qualche
anno, degusterò la seconda bottiglia, annotando sempre scrupolosamente le qualità
organolettiche, mettendole a confronto con la prima. Infine, la terza bottiglia è
aperta a distanza di molto tempo, spesso lunghissimo, sempre annotando le sue
qualità sensoriali e mettendole a confronto con le due degustazioni precedenti.
Se poi quel vino mi piace particolarmente tanto, l'acquisto aumenta a sei
bottiglie, tre delle quali da degustare e condividere con amici e appassionati,
stappate non appena si presenta l'occasione o il momento giusto.
Gli intervalli di tempo nei quali le due bottiglie da degustazione sono aperte
sono determinati unicamente dallo stile di vino, tipo, territorio, composizione
delle uve e, non da meno, tecniche di produzione. Molto spesso la terza bottiglia
è quella che riserva le sorprese più straordinarie, spesso del tutto inaspettate.
Considerando che ho iniziato a coltivare questa mia abitudine di acquisto
circa trenta anni fa, negli ultimi dieci è aumentato considerevolmente il numero
di terze bottiglie che prendono la strada del calice, passando
inevitabilmente per il cavatappi. Ovviamente, può capitare che qualche terza
bottiglia non abbia resistito alla sfida del tempo, soccombendo al peso dei suoi
anni, qualcosa che, puntualmente, era spesso previsto valutando la seconda
bottiglia. Come si dice, tentar non nuoce, anche se in questi casi, nuoce
alquanto e fin troppo, mentre in altri l'attesa è ampiamente ripagata dalla
bellezza di un vino che è cresciuto a piena, complessa ed elegantissima matura
nobiltà proprio grazie al tempo.
Questo mio vezzo nasce prevalentemente a causa del mio interesse – per
meglio dire, passione – per gli spumanti metodo classico maturi, quelli che a
distanza di un tempo, per molti eccessivo, sviluppano magnificamente in bottiglia
una complessità irraggiungibile per tantissime altre categoria di vini. Non sono
le uniche bottiglie a essere acquistate per questo scopo piacevolmente
didattico, poiché la mia cantina è anche allegramente popolata di bianchi,
rosati e rossi, non da meno liquorosi e dolci da uve appassite. Quelli che mi
sorprendono sempre e puntualmente sono, appunto, gli spumanti metodo classico, in
modo particolare quelli prodotti con una delle mie uve predilette e care: il
Pinot Nero. Non è l'unica, ovviamente, ma la bellezza e la classe che possono
raggiungere gli spumanti metodo classico prodotti con la grande uva rossa di
Borgogna è davvero strepitosa, anche dopo 30 anni.
Ovviamente si perde un po' di freschezza, l'effervescenza non ha certamente la
forza e l'impeto della giovane età, ma al naso – oh, il naso! – assume un
carattere di complessità straordinario, profumi complessi nei quali si riconosce
ancora il fascino di una bellissima giovane donna che il tempo ha reso ancor più
affascinante, di consapevole e compiuta femminea classe ed eleganza. Anche il
gusto, evidentemente, è decisamente distante dal ricordo dell'esuberanza di
gioventù, con la morbidezza che si porta decisamente alla ribalta, tuttavia ben
supportata dalla freschezza della matura acidità e un'effervescenza più garbata,
a segnare lo scorrere del tempo. L'evoluzione dei profumi di questi spumanti
trova piena corrispondenza anche al gusto, con sapori che sono lontani
dall'immediata comprensione che è tipica – concedetemi il beneficio della
generalizzazione – negli spumanti giovani dopo pochi mesi dalla sboccatura.
Questi vini chiedono ora la completa attenzione e concentrazione: solo così si
concedono ai sensi e regalano tutte le loro sfumature conquistate nel tempo.
Le qualità sensoriali conferite dai lieviti e – in particolare – dalla loro
autolisi, sono un lontanissimo ricordo, oramai dimenticati dall'oblìo del tempo.
Si apre un mondo di emozioni del tutto nuovo e certamente insospettabile a chi è
abituato alle qualità sensoriali dei vini spumanti metodo classico con
alcuni mesi di vita dopo la sboccatura. Ovviamente l'attesa degli anni può
anche riservare delle sorprese decisamente bruttissime, quando nel calice si
versa un vino che è andato ben oltre la bellezza della sua maturità, quindi
– per così dire – oramai morto e privo di qualunque finezza o interesse
sensoriale. È un rischio che corro comunque volentieri poiché consente di
imparare una preziosa lezione su quel vino – considerato nel suo potenziale
enologico – e che spesso diviene utilissima anche per giudicare le sorti di vini
analoghi. Quando accade, la delusione e il disappunto si può eventualmente lenire
stappando un'altra bottiglia. Incrociando le dita, ovviamente.
In termini generali, gli spumanti metodo classico prodotti con il Pinot Nero
– in purezza oppure unito ad altre varietà – sono quelli che regalano le
maggiori soddisfazioni, sia per lo sviluppo delle qualità sensoriali, sia per la
capacità di sostenere la sfida del tempo. Non si tratta comunque di una regola
affidabile, poiché è accaduto che spumanti metodo classico prodotti con Pinot
Nero si siano trasformati in cocenti delusioni, nonostante la mia iniziale
fiducia ed entusiasmo. Capita, poi, che spumanti prodotti con
insospettabili uve dimostrino un'eccellente vocazione alla produzione di
metodo classico capaci di evolvere e crescere nel tempo. Si tratta, nella
maggioranza dei casi, di varietà autoctone italiane, trasformate in gioiose
bollicine da lungimiranti e intraprendenti produttori. Oltre al mio personale
piacere e predilezione per i vini spumanti metodo classico maturi, ritengo che lo
studio di queste bottiglie rappresenti un enorme valore didattico. Spesso si
scoprono delle sensazioni e qualità – in ogni singola fase della degustazione –
del tutto inaspettate e insospettabili, comprese quelle che, con somma
soddisfazione, si immaginava si fossero sviluppate con il tempo. Nell'uno o
nell'altro caso, resta sempre e comunque il mio stupore per la bellezza dei vini
spumanti metodo classico capaci di sfidare e vincere il tempo.
Antonello Biancalana
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