Le previsioni relative all'annata 2023, divulgate con notevole anticipo rispetto
all'effettivo inizio della vendemmia, non sono state certamente fra le più
entusiasmanti degli ultimi anni. Da nord a sud, le previsioni hanno dipinto uno
scenario nel quale – in termini generali – ci si avviava, con non poca
rassegnazione, a portare in cantina un raccolto decisamente inferiore rispetto
agli anni passati, almeno dal punto di vista della quantità. Per la vendemmia
2023 si prevedeva infatti uno dei più scarsi raccolti degli ultimi decenni, con
pochissime regioni a registrare un segno positivo e in crescita rispetto al 2022.
Le operazioni di raccolta dell'uva sono oramai terminate e il mosto è già da
tempo in viaggio nel cammino che lo trasformerà in vino, possiamo pertanto
verificare la situazione della vendemmia 2023, oltre a trarre le prime
conclusioni in merito a quelle previsioni. Da quanto emerge in accordo alle prime
impressioni, sembrerebbe che non tutto si debba considerare in modo negativo,
anche se, in linea di massima, quelle previsioni hanno trovato conferma.
Le previsioni diffuse prima della vendemmia – come ben si ricorderà – furono
ampiamente formulate basandosi sull'andamento meteorologico oltre alla comparsa
di parassiti e patologie che hanno colpito i vigneti d'Italia. È opinione diffusa
ovunque in Italia che la quantità dell'uva raccolta nei vigneti è decisamente
inferiore rispetto agli anni passati, tuttavia – in termini generali – si
ritiene che la qualità sia invece elevata tale da promettere vini di eccellenza.
Insomma, poco ma buono. Va detto, infatti, che oltre all'andamento
meteorologico, caratterizzato prevalentemente da scarsità di precipitazioni, si
sono uniti gli effetti della peronospora che, di certo, non è così clemente con
la vite. In alcune regioni, l'effetto della scarsità delle piogge è stato in
parte mitigato dalle precipitazioni di fine di agosto e settembre, fornendo alla
terra e alle viti un fondamentale supporto di acqua tale da limitare gli effetti
della siccità e proprio nel momento durante il quale l'uva procede verso la
maturazione.
Sebbene l'effetto della pioggia di fine estate sia stato estremamente importante
per il bilancio dell'annata 2023, ovviamente nulla ha potuto per il recupero dei
grappoli persi a causa dell'andamento meteorologico e della peronospora. L'Italia
– ovviamente – non è stato l'unico paese vitivinicolo del mondo a registrare un
calo nella produzione di uva, quindi di vino. Nei principali paesi vitivinicoli
del mondo si è infatti rilevato un calo significativo nella produzione dei
vigneti, nella maggioranza dei casi dovuto alle sfavorevoli condizioni
meteorologiche, riconoscendo come causa principale il cambiamento climatico che
si sta verificando un po' ovunque nel mondo. A titolo di esempio, Argentina,
Brasile, Cile e Sud Africa hanno subito perdite, rispetto al 2022, dal 10 al
30%. In netta controtendenza gli Stati Uniti d'America, dove si prevede una
produzione enologica pari a 25,2 milioni di ettolitri, corrispondente a un
aumento del 12% rispetto all'anno precedente.
Anche in Europa, come ampiamente anticipato, i cali si sono attestati con un -6%
che hanno portato alla produzione di poco più di 150 milioni di ettolitri di
vino. Fra i paesi del vecchio continente l'Italia registra un calo
piuttosto significativo tale da fare perdere il primato della produzione
enologica. Dopo sette anni, quindi, l'Italia non è più il principale produttore
di vini in Europa, lasciando il gradino più alto del podio alla Francia. In
Italia, infatti, la produzione stimata si attesta a 43,9 milioni di ettolitri
– con un calo del 12% rispetto al 2022 – mentre la Francia svetta con 45
milioni di ettolitri, pari a un aumento dell'1,5% rispetto allo scorso anno. Le
cose non sono andate bene nemmeno per il terzo produttore europeo, la Spagna, che
fa registrare un calo del 14%, mentre la Germania perde il 2% rispetto al 2022,
con una produzione stimata di 8,9 milioni di ettolitri di vino. In tutti i casi,
il principale responsabile di questi risultati è stato l'andamento meteorologico,
decisamente poco favorevole per la coltivazione della vite.
Anche negli altri paesi europei la situazione non è stata rosea, con l'Austria
che registra una diminuzione del 6% rispetto al 2022, Grecia -23%, Croazia
-31% e Slovacchia -20%. L'unico paese in controtendenza risulta essere il
Portogallo, che è riuscito a incrementare la produzione del 9%, corrispondente a
poco meno di 10 milioni di ettolitri. C'è un punto sul quale i paesi vitivinicoli
sembrerebbero tutti d'accordo e che rappresenterà una sfida sempre più importante
per il futuro: il cambiamento climatico. Si ipotizza, non da meno, la necessità
di favorire la coltivazione di varietà più resistenti alle principali patologie
della vite, così come quelle più resistenti alle condizioni climatiche che
sembrerebbero cambiare un po' ovunque. A titolo di esempio, si può certamente
ricordare che – da qualche anno – nel sud del Regno Unito si sta coltivando con
successo la vite, tanto da avviare un'interessante produzione enologica. Una
condizione – questa – che fino a qualche decennio fa sembrava essere piuttosto
improbabile, se non impossibile.
Per quanto riguarda, nello specifico, la situazione in Italia, oltre alle notizie
relative alla vendemmia 2023, l'ICQRF (Dipartimento dell'Ispettorato centrale
della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari) ha
diramato il nuovo rapporto Cantina Italia, relativo alle giacenze di vino del
paese. In particolare, la quantità di vino ancora giacente nelle cantine italiane
– quindi, non ancora venduto – che si dovrà aggiungere a quello della vendemmia
2023. Secondo il rapporto dell'ICQRF, al 31 Ottobre 2023, nelle cantine italiane
sono ancora giacenti 43,2 milioni di ettolitri di vino, equivalente a -5,8%
rispetto allo stesso periodo del 2022, tuttavia in aumento del 2,5% rispetto al
mese di settembre. In dettaglio, al 31 ottobre 2023, negli stabilimenti enologici
italiani sono giacenti 43,8 milioni di ettolitri di vino, 13,5 milioni di
ettolitri di mosti e 12,1 milioni di ettolitri di vino nuovo ancora in
fermentazione.
Il 59% del vino è detenuto nelle cantine del Nord, principalmente in Veneto,
dove è presente il 24,5% del vino nazionale, soprattutto nelle province di
Treviso (10,4%) e Verona (8,4%). Il 53,7% è classificato come DOP
(Denominazione d'Origine Protetta), il 24,6% IGP (Indicazione Geografica
Protetta) e i vini varietali rappresentano appena l'1,6% del totale. Per quanto
concerne i vini DOP, il 52,2% è rappresentato dai vini rossi, che costituiscono,
inoltre, il 61,7% dei vini IGP. Il 18,4% è infine rappresentato da altri vini,
mentre i varietali costituiscono appena l'1,6%. A queste giacenze si
aggiungeranno anche i mosti e vini prodotti dalla vendemmia 2023 e non ancora
inclusi nel rapporto dell'ICQRF che, va detto, è basato sui dati contenuti nel
registro telematico del vino e che, secondo le stime, contiene almeno il 95% del
vino e dei mosti detenuti in Italia. I dati del rapporto Cantina Italia, in
definitiva, evidenziano che nelle cantine italiane è attualmente giacente una
quantità di vino pari a quella mediamente prodotta in una singola vendemmia.
Va detto – per chiarezza – che gran parte di questo vino è giacente in cantina
in attesa che concluda il periodo di maturazione e affinamento. Ma è comunque
evidente che si tratti anche di vino delle vendemmie precedenti e ancora
invenduto, il quale, con l'arrivo dei nuovi vini della vendemmia 2023, sarà
piuttosto improbabile che possa giungere sul mercato e procurare quindi un
profitto. Mi riferisco, in modo particolare, al cosiddetto vino da pronta
beva, quello che generalmente ha possibilità commerciale di poco meno di
un anno e che nessuno cerca più con l'arrivo dei vini della nuova annata. Se è
vero che si sta verificando un buon successo di vendite del vino italiano,
soprattutto con le esportazioni, è anche vero che non è esattamente semplice
vendere una quantità di vino così importante nel tempo relativamente breve di un
anno. Perché è evidente che – fra 12 mesi – faremo esattamente le stesse
considerazioni per il vino dell'annata 2023 pensando al futuro di quello del
2024. Alla fine, ben consapevole di risultare decisamente impopolare, il
calo della produzione dell'annata 2023 potrebbe anche essere utile per migliorare
la condizione critica delle giacenze e riportare un po' di equilibrio e
consapevolezza.
Antonello Biancalana
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